Come Joker racconta l’assenza di empatia della nostra società

Joker Joaquin

Sarò sincero, quando tempo fa arrivò l’annuncio di un film basato sulle origini del Joker, ebbi parecchi dubbi a riguardo. In parte perché gli ultimi film Dc non spiccano di certo nel panorama cinematografico (specialmente sul fronte narrativo), e in parte perché ho sempre amato molto questo personaggio, sia in gran parte delle sue trasposizioni precedenti che nei suoi fumetti dedicati. Insomma, l’idea di trovarmi con un nuovo Joker stile Suicide squad era sufficiente a farmi desistere dal chiederne un’altra versione, quantomeno nel breve periodo.

Il Joker è infatti un personaggio davvero difficile da trasporre, specialmente perché negli ultimi anni, complice anche la favolosa interpretazione di Heath Ledger, è diventato ancora di più un’icona della nostro cultura pop, incarnando il concetto di follia e cattiveria come pochi altri antagonisti.

Ammettiamolo, Joker piace a tutti, per un motivo o per l’altro. Incarna tutte le qualità che un cattivo deve avere, e lo fa con un carisma che si è creato intorno nei decenni, e che tutt’ora conquista ad ogni sua comparsa.

Ho sempre pensato però, che gran parte di questo fascino derivasse anche proprio dalla scarsità di informazioni dedicate alle sue origini. Fatta eccezione per pochissime opere, infatti, raramente è stata data una vera e propria storia pregressa al personaggio prima del suo scontro con Batman. La sua identità, le motivazioni iniziali e tutto ciò che riguarda il Joker persona, sono svaniti con l’inizio della sua carriera distruttiva, nascosti dalla nebbia della sua follia e cattiveria. Il personaggio è totalmente sconnesso dalle persone comuni, a differenza degli antagonisti tipici dei fumetti, diventando quasi un’entità portatrice di caos, piuttosto che un criminale.

The killing Joke

Anche nelle opere in cui si è provato a dargli un’origine più definita, gli autori hanno solitamente scelto volontariamente di lasciare un alone di dubbio intorno a quest’ultima, come fatto da Alan Moore in The Killing Joke, dove Joker recita una frase che da sola racchiude gran parte della sua anima:

Se proprio devo avere un passato, preferisco avere più opzioni possibili.

Per questi motivi, fino all’ultimo, nonostante il crescente interesse generato dalle notizie che giravano intorno all’opera, ho cercato di mantenere le aspettative il più basse possibile. Poi però è arrivato il giorno dell’uscita, sono entrato in sala e… dopo i primi due minuti di film ogni mio dubbio è svanito.

Todd Phillips è riuscito a produrre un film meraviglioso, capace di liberarsi già nei primi minuti di tutte le etichette tipiche dei cinecomic e dei canoni che solitamente riempiono i film sulle origini, il tutto senza mai tradire l’anima portante della figura del Joker, e anzi riuscendo a creare una sua versione incredibilmente fedele e potente.

Il pericolo di “giustificare” la cattiveria di Arthur (seguendo una moda che negli ultimi anni ha tolto spesso credibilità a personaggi altrimenti molto ben scritti), viene scongiurata eliminando l’ormai prevedibile evento cardine che scatena l’evoluzione tipica dei protagonisti o antagonisti dei cinecomic: niente dramma improvviso che trasforma un uomo dall’oggi al domani in un super essere, nessuna lotta tra bene o male o principi etici che guidano i personaggi. Tutto quello che viene messo in scena è umano, terra a terra, ma prepotentemente reale e violento psicologicamente.

Todd Phillips racconta una storia in cui l’involuzione del personaggio non ha origine da un evento in particolare, anzi è formata da tutta una serie di piccoli eventi della sua vita quotidiana, fortemente influenzata da avvenimenti politici e sociali su cui lui ha ben poco potere, quali la disuguaglianza e il degrado della sua città.

Arthur Fleck è un uomo con problemi umani, che tutti potremmo avere, e che diventa Joker in conseguenza al mancato sostegno della società in cui vive e a un menefreghismo generale da parte di chiunque lo circondi.

In questo film vengono trattate tematiche e concetti particolarmente attuali, come il pericolo dell’idolatria cieca e mal compresa e il degrado sociale, ma più di tutto viene messa in scena una delle malattie peggiori degli ultimi anni: la mancanza di empatia.

Arthur Fleck pullmanLa Gotham city che ci viene mostrata è un riflesso estremizzato dei problemi che attanagliano gran parte della nostra società odierna. Arthur si muove in un ambiente pieno di degrado e disparità sociale che ha portato i suoi abitanti a sviluppare un senso di insoddisfazione costante, che sfocia poi in una rabbia repressa che pervade le strade e gli animi.

Per tutto il film ogni singolo personaggio che viene mostrato, fatta eccezione per Arthur, Bruce e Gary, si mostra poco incline anche solo a tentare di voler comprendere le altre persone. Sono tutti mossi da un egoismo quasi involontario che li porta a non farsi domande, se non quando messi a disagio dalla diversità di Arthur, su cui poi sfogano la loro frustrazione.

Lo vediamo con la sua psicologa, che, anche dopo essere stata accusata da Arthur di non ascoltarlo, non ribatte, preoccupandosi invece del suo aver perso il lavoro, concludendo poi con la frase “non gli importa nulla di quelli come te, e nemmeno di quelli come me”.

Lo ritroviamo poi con il suo datore di lavoro, che alla domanda di Arthur sul perché avrebbe dovuto tenersi un cartellone pubblicitario risponde semplicemente “e io che ne so del perché la gente fa le cose?”.

Questi sono solo due esempi dell’assenza di empatia con cui Arthur si ritrova a fare i conti, ma durante il film ce ne sono tanti altri. E il colmo, la battuta macabra di tutto ciò, e che solo lui sembra accorgersene, chiedendo più volte a tutti cosa gli stia prendendo e perché si comportino a quel modo.

 

Joker e BatmanIn un mondo apatico, l’unico a rendersi conto della mancanza di qualcosa di importantissimo come l’empatia è il più folle, in quanto il più debole e quindi colui che ne ha più bisogno.

Trovo poi profetico che l’unico altro personaggio che mostra in qualche modo di sentire che c’è qualcosa di sbagliato sia il piccolo Bruce Wayne, il futuro Batman, anche lui per certi versi un folle, che finirà per indossare una maschera e immergersi nella spirale di violenza di Gotham.

Quando i due si incontrano mostrano subito di essere collegati da una caratteristica: l’incapacità di sorridere. Chissà, forse come diceva il Joker di un’altra opera: la differenza tra lui e le altre persone è solo una pessima giornata.

Chissà, forse in un altro mondo, se i genitori di Bruce Wayne non fossero morti, sarebbe stato lui stesso a diventare il clown folle…

Arthur è costantemente vittima della superficialità involontaria delle persone che lo circondano, che non si fermano mai a pensare al peso delle loro azioni o delle loro parole. Non credo sia un caso che il mezzo scelto da Todd Phillips per distruggere l’ultimo sogno di Arthur sia proprio un video, il mezzo senza ombra di dubbio più rappresentativo del nostro tempo.

Quando ero in sala, arrivati alla scena in cui Murray manda in onda il video di Arthur per deriderlo, decretando di fatto la morte del suo sogno di diventare un comico, ho sentito la delusione addosso. Davvero, si è trattata di una scena crudele, forte e fastidiosa, e in tutta la sala ho percepito che anche gli altri spettatori stavano provando le stesse sensazioni.

Tutti sappiamo cosa voglia dire avere un sogno, e spesso lo teniamo ben nascosto e intentato, proprio per paura di vederlo trasformarsi in un fallimento. Quella delusione negli occhi di Arthur durante quella scena è magnetica, perché questo film riesce a creare empatia in chi lo guarda, facendocene sentire la mancanza, nella maniera più verosimile che si possa immaginare.

Quante volte dei video imbarazzanti vengono messi online? E quante volte noi per primi ne ridiamo senza pensare a come debba sentirsi l’altra persona? Mi vengono in mente alcuni video diventati virali negli ultimi mesi, come quello dell’insegnante che non riesce a fare l’appello in classe (a causa di un evidente disturbo). Si tratta di video che hanno centinaia di migliaia di visualizzazioni, e su cui altrettante persone hanno riso. Un gesto che non racchiude cattiveria, ma solo una superficialità momentanea che non ci ha fatto fermare a riflettere al fatto che dietro quegli schermi c’erano delle persone, con debolezze e fragilità come le nostre.

Non voglio prolungarmi su fatti di attualità, non sono la persona giusta per farlo e non è questa la sede, ma ho tirato in mezzo questi esempi per far capire l’enorme valore nella scrittura di questo film. Todd Phillips è riuscito a metterci dall’altro lato dello schermo, a farci entrare in empatia con chi il video lo subisce, facendoci in qualche modo soffrire con lui.

Il film Joker riesce a mostrare uno dei poteri più grandi delle storie: raccontarci il mondo reale e spingerci a rifletterci sopra.

Joker Joaquin Smile

Todd Phillips ha prodotto un film d’autore di altissimo livello, probabilmente uno dei punti più alti del genere cinecomic, andando oltre il semplicistico concetto di bene contro male e dimostrando che questo genere narrativo ha ancora tanto potenziale. Questo film avrebbe potuto essere un’opera drammatica a sé stante, al di là della mitologia di Batman, ma il suo far parte di quest’ultima gli dà un valore aggiunto (tutta la parte finale, e il primo incontro tra Arthur e Bruce, hanno un plus di epicità dovuto proprio alla storia pregressa che tutti conosciamo).

Sapete bene come la penso sui cinecomic in generale, e questo film è il chiaro esempio di come anche questi ultimi possano rappresentare anche il grande cinema.

Joker è un film importante per tanti motivi, ma più di tutti credo lo sia per il suo riuscire a raccontarci verità profonde e pericolose del nostro mondo attraverso una storia di fantasia.


 

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