ATTENZIONE: DI SEGUITO SPOILER SUL FILM JOJO RABBIT
Affrontare temi come quelli del nazismo e dell’antisemitismo non è mai facile. Il rischio di sfociare dell’estremismo o nel fuori luogo è sempre dietro l’angolo, così come quello di risultare banali, aggiungendo ben poco al fiume di opere già prodotte e diffuse sull’argomento nell’ultimo mezzo secolo.
Eppure, ogni tanto capita che dal mucchio, tra le tante storie a riguardo, ne salti fuori qualcuna di geniale, capace di trattare una delle pagine più nere della razza umana da punti di vista diversi, con metodi nuovi e tanta intelligenza. Come già avrete capito, Jojo Rabbit è proprio una di queste storie.
Taika Waititi è riuscito a scrivere un film satirico, ma al contempo rispettoso e stratificato nella sua costruzione narrativa; un’opera in grado volgere la telecamera dall’altro lato della barricata, abbattendo il semplicistico concetto tra buoni e cattivi per affondare le mani nel più complesso animo umano.
Jojo Rabbit è una storia che va oltre le sfumature più classiche dei racconti riguardanti il nazismo e le sue conseguenze, sia nella forma con cui lo fa che nelle tematiche e nei concetti a cui decide di dare più importanza, primo tra questi quello dell’indottrinamento nazista, raramente esposto così bene.
Purtroppo infatti, nella cultura narrativa la figura del cittadino nazista ha sempre subito un’etichettatura da persona cattiva come indole naturale, incapace di comprendere il suo essere dal lato sbagliato e il peso dei suoi gesti atroci. La realtà però è che nel mondo reale le cose non sono mai così semplici.
Se è vero infatti che ci sono sicuramente stati casi di nazisti puramente crudeli, è anche vero che per la maggior parte dei tedeschi la situazione era molto più complessa di così.
L’indottrinamento nazista aveva un ruolo centrale nel veicolare l’odio di soldati e civili verso i nemici del Terzo Reich, trasformando persone fondamentalmente buone in nazisti ossessionati da un’ideologia che annebbiava il loro pensiero critico attraverso l’imposizione di un’ignoranza mirata.
Ed ecco dove Jojo Rabbit brilla nella sua narrativa: nel mostrarci la psicologia di persone buone trasformate in naziste, nonché le prime vittime del regime che si ritrovavano a sostenere.
Waititi si prende gioco dell’ideologia nazista per tutto il tempo, ridicolizzandola ed estremizzandone ogni assurdità, ma allo stesso tempo mostra rispetto verso i tedeschi, mettendoci di fronte alla loro impossibilità di scegliere una strada differente dall’unica che conoscono.
Come dicevo prima, Jojo Rabbit è un’opera estremamente intelligente, che riesce a metterci dall’altro lato della barricata scegliendo con astuzia di farlo attraverso gli occhi di un bambino e del suo indottrinamento forzato fin dalla nascita, usando come rappresentazione di quest’ultimo proprio un’incarnazione fantasiosa di Hitler, quasi in chiave supereroistica.
Per tutto il film osserviamo le vicende di un bambino agli antipodi della figura dell’ariano onnipotente voluto dal Terzo Reich, debole fisicamente, ignorante e nemmeno troppo sveglio. Si tratta della perfetta messa in scena di un personaggio ingenuo e innocente a cui viene insegnato che gesti atroci sono giusti. Non c’è mai un dubbio nel suo modo di vedere l’ideologia nazista, tanto che anche quando parla con il suo Hitler immaginario quest’ultimo è capace di dire cose terribili, ma in maniera estremamente divertente, proprio perché si tratta del modo in cui un bambino vede il nazismo, e cioè come un gioco.
La stessa cosa possiamo trovarla in quasi tutti gli altri personaggi dell’opera, dal Capitano Klenzendorf a Yorkie. In un qualche modo, attraverso una visione satirica e divertente, Taika Waititi ci mostra l’umanità di una cittadina tedesca che soffre dell’imposizione di un’ideologia che uccide ogni loro possibilità di riflessione e di vita serena. Un pensiero critico che però si palesa quando questi ultimi si trovano a scontrarsi con la realtà che li circonda, ben diversa da quella che gli è sempre stata raccontata.
L’esempio più eclatante è sicuramente Yorkie, il bambino cicciottello e all’apparenza più stupido di tutti gli altri. Quest’ultimo, dopo aver visto i suoi primi ebrei, non solo ammetterà di non aver notato in loro nessuna differenza rispetto ai tedeschi, ma anche che non capisce cosa ci trovino di così speciale gli adulti. Il bambino si troverà persino a chiedersi se davvero stiano combattendo dalla parte giusta, prima di impugnare comunque un’arma per lanciarsi in battaglia, pronto a difendere un’ideologia in cui non crede più, ma che in quanto unica che abbia mai conosciuto rimane la sua strada.
Yorkie rappresenta così lo sgretolarsi dell’indottrinamento nazista di fronte alla nascita di un pensiero critico, ma anche la forza della sua presa su un bambino che non ha mai conosciuto altro prima di allora.
Un processo simile ma diverso lo possiamo vedere anche negli occhi del protagonista infatti. Come ho detto prima, Jojo non ho è per nulla un ragazzino sveglio, anzi arriva molto tardi a capire le cose. La sua crescita stessa non avverrà grazie al suo porsi delle domande, bensì a causa di uno sbattere violentemente la faccia contro l’esistenza di una ragazza ebrea sotto il suo stesso tetto. Saranno la scoperta dell’empatia e dell’amore a cambiarlo, senza che lui se ne accorga nemmeno più di tanto.
Parallelamente, a dimostrazione di questa sua lenta liberazione dall’indottrinamento nazista, il modo in cui vede il suo amico Hitler muterà. Laddove all’inizio vede una figura divertente, amichevole e persino buffa, mano a mano che cresce la sua visione cambia di conseguenza, vedendo un Hitler più aggressivo e ostile, sempre più distante da lui, rappresentando concretamente il suo aprire gli occhi di fronte all’orrore del nazismo. Quell’ultimo calcio, con cui Jojo scaraventa Hitler fuori dalla finestra, è la concreta incarnazione della liberazione dall’indottrinamento nazista, nonché la scelta di decidere da sé in cosa credere e che ideali abbracciare. La prima vera azione attiva compiuta dal bambino, che fino a quel momento ha sempre agito in balia degli eventi scelti dalle persone intorno a lui.
Ovviamente però, non tutti hanno l’occasione e la forza di liberarsi, e ne sono una prova gli adulti che riempiono la vita di Jojo. Per loro liberarsi è più difficile, motivo per cui vivono una vita di costrizione, accettando passivamente un ruolo che non sentono proprio e che non condividono, ma senza la possibilità di colpire con un calcio l’indottrinamento ormai troppo radicato in loro.
Il Capitano Klenzendorf, evidentemente omosessuale e persona di buon cuore, rimane fino all’ultimo a combattere per l’esercito nazista, senza mai dare indizi di voler abbandonare quel fronte, nemmeno di fronte alla morte. Si tratta di un uomo che non prende mai in considerazione una strada alternativa, ma che in quanto uomo buono, nei momenti davvero importanti, quando deve scegliere attivamente compie sempre l’atto più giusto, salvando Elsa in un primo momento e Jojo poco più tardi.
E lui è forse la dimostrazione più concreta del rispetto che Taika Waititi mostra nei confronti dei tedeschi in questo film: una satira che condanna e deride l’ideologia nazista, ma elogia il coraggio di un soldato che al momento giusto sa mettere l’umanità davanti all’indottrinamento; ma anche quello di una madre che sa accettare l’ignoranza di un figlio troppo giovane per scorgere l’oscurità delle sue azioni; o di un bambino cicciottello e stupido, che però sa porsi le domande giuste di fronte alla verità.
I tedeschi di Jojo Rabbit sono quasi tutti nazisti che parlano e agiscono come tali, ma che dentro sono persone ben più umane. Individui con una coscienza, influenzati e abusati da un’ideologia che distorce la loro percezione, ma che non riesce a spegnere totalmente la loro umanità, che a volte esce fuori con prepotenza definendoli per le persone che sono davvero.
Perché in fondo la magia di questo film è proprio questa: farci ridere di un’ideologia oscura e malvagia, e allo stesso tempo farci piangere per le persone che la seguono.
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