Vi è mai capitato di rivedere un film o rileggere un libro una seconda volta?
A me succede spesso, è una pratica che ho sempre avuto, fin da quando ero adolescente, e nel tempo ho imparato ad apprezzarla come parte integrante del mio vivere la narrativa. Trovo che sia un’occasione più rara che unica di risentire emozioni passate, ma con più consapevolezza.
So bene che le sensazioni della seconda volta non raggiungeranno mai lo stesso grado d’intensità della prima, ma questo le rende solo differenti, non inferiori. È quasi come poter tornare bambini, ma con la conoscenza di un adulto.
Ultimamente mi è capitato di riguardare la prima stagione di TREDICI, e ho avuto la riprova di come sia tutto diverso quando sei già a conoscenza di cosa accadrà in futuro, o di come ogni personaggio si rivelerà. Certe frasi dette all’inizio della serie, che ad una prima visione servivano solo ad alimentare la confusione generale e far sorgere più domande, questa volta avevano un senso, e sentirle contribuiva a far riemergere ricordi e sensazioni che pensavo fossero sparite.
La stessa storia acquisisce un valore tutto diverso, e spesso ad ogni nuova visione noteremo dettagli nuovi che ce la fanno apprezzare ancora di più; strizzate d’occhio messe appositamente lì dall’autore per chi ha già terminato quel viaggio e sa cosa si trova in fondo alla strada.
Si tratta di elementi che prolungano la vita di quell’opera spingendoci a ritornare da lei più volte, perché alla fine ci lascerà sempre qualcosa.
Mi rendo conto che questa mia abitudine è puramente individuale, e ho più volte nel tempo riscontrato opinioni differenti al riguardo. Alcuni miei amici ad esempio trovano sia inutile perdere tempo prezioso a rileggere un libro già terminato, indipendentemente dalla sua qualità, preferendo invece scovarne di nuovi e ampliare il numero di avventure nella loro personale esperienza. Capisco questo punto di vista, ma semplicemente non fa parte del mio carattere, e se c’è un sentimento che su di me fa presa molto facilmente è la nostalgia, motivo per cui non riesco proprio a chiudere definitivamente in un cassetto le storie che più amo.
A questo va poi aggiunta la mia scelta di aspirare a divenire un narratore, e quindi al semplice diletto di rivivere una bella storia si aggiunge anche la possibilità, così facendo, di poter approfondirla anche con un occhio più da studente, in cerca dei mezzi utilizzati dall’autore per esprimere un concetto o mettere in scena un avvenimento particolare.
Insomma, sono fermamente convinto che riprendere per mano i protagonisti delle avventure che più ci hanno colpito non può fare altro che arricchirci, e per questo motivo ho pensato di riportarvi quelle che sono le mie personali emozioni in merito a questa pratica.
STESSA STORIA, NUOVA FORMA
Certe storie sono appositamente costruite per essere reinterpretate una seconda volta, e anzi, alcuni autori hanno fatto di questa particolarità un loro marchio di fabbrica, sia nel cinema che nella scrittura o nei videogiochi.
Prendete ad esempio un film come The Prestige, di Cristopher Nolan: si tratta della tipica opera in cui il finale da un senso a tutto quello che si è visto prima (addirittura la scena di apertura è parte del finale stesso!). In una storia del genere, in cui i segreti la fanno da padroni e il mistero è l’inganno è il protagonista indiscusso, una seconda visione ci mette davanti a un film totalmente nuovo. Tanti piccoli dettagli che ci erano sfuggiti, frasi che sembravano fine e a sé stesse, eventi dati per scontati… tutto acquisisce un valore diverso, e parer mio anche maggiore. È come se, dopo averlo vissuto la prima volta, il regista ci avesse dato in premio un paio di occhi nuovi e ci avesse detto: ok, ora torna indietro e rivivila, non più come spettatore, ma come presenza onnisciente.
Ogni volta che riguardo questo film mi ritrovo a scoprire elementi nuovi, che mi fanno sorridere ed esaltare come se lo stessi vedendo per la prima volta; è un continuo ripetermi: Ah, ecco perché!
E questo è solo un esempio come ce ne sono tanti. Quando riprendiamo in mano un libro, un videogioco o un film, di cui sappiamo già la fine, ci stiamo dando la possibilità di scoprire la sua seconda faccia, quella nascosta dall’autore per noi che torneremo.
È come andare sulle montagne russe: la prima volta è tutta una scoperta, c’è anche quella leggera ansia del non conoscere; quelle successive invece sapete già cosa aspettarvi, e magari, essendo più lucidi e tranquilli, riuscite a godervi anche il paesaggio intorno a voi mentre vi esaltate nel solito giro della morte.
VECCHI AMICI
Un’altra cosa che adoro nel riprendere in mano vecchie storie è il poter rincontrare i personaggi con cui ho condiviso emozioni, avventure, drammi e lutti.
Trovo affascinante quel senso di familiarità tipico di quando ci si ritrova con vecchi amici che non vediamo da un po’. È un po’ come quando esce il seguito di una saga che seguite da tanto, ma con un plus valore concesso dall’effetto nostalgia.
Sfido chiunque a rileggere la saga di Harry Potter senza emozionarsi al primo incontro del giovane mago con Hagrid, Ron o Hermione; oppure a non sentire il bisogno di avvisare Sirius Black fin dalla sua prima apparizione.
Ma volendo prendere ad esempio qualcosa di più attuale: avete provato a riguardare le prime due stagioni di The Walking Dead? Io l’ho fatto, e vi assicuro che osservare i protagonisti ai loro esordi, così innocenti e umani, è quasi stordente. In certe situazioni avrei voluto urlargli addosso (qualcuno ha sentito parlare di una certa Carol?), mentre in altre ho potuto già notare l’ombra di quel che sarebbero diventati più avanti. Oppure, ecco che, consapevole delle azioni future dei protagonisti, l’antagonista non mi è sembrato più così cattivo, e anzi ha acquisito una caratterizzazione incredibilmente complessa e realistica. Vedere ogni suo errore, ogni scelta che ha compiuto per avvicinarsi ai suoi obbiettivi… saperlo l’ha trasformata quasi in un’agonia.
OFF TOPIC: Se non avete mai visto le prime due stagioni di The Walking Dead, dategli una possibilità, potrebbero rappresentare da sole una storia autoconclusiva, di qualità e con situazioni di un’intensità magistrale.
Arrivati al termine della sua storia, ogni personaggio ha una caratterizzazione ben definita e solida nella nostra mente, dettata dalle sue azioni, dal suo passato e dalle scelte compiute quando davvero contava. Rivederlo prima, o nel mentre, ci dà una vicinanza tutta diversa alla sua persona, probabilmente perché a quel punto lo conosceremo meglio di quanto non si conosca lui stesso.
Non siete ancora convinti? Allora vi dirò solo un nome, preso ancora una volta dalla saga di Harry Potter: Severus Piton.
Se lo conoscete sapete di cosa parlo, in caso contrario scopritelo, non mi stancherò mai di consigliarvelo.
ESSERE PRONTI
Vi è mai capitato di rivivere una storia ad anni di distanza, e capire solo a quel punto alcune sue tematiche? A me succede in particolare modo con opere a cui mi sono avvicinato da bambino o da adolescente, e che poi ho ritrovato da adulto.
Certe volte non siamo pronti a comprendere la storia che abbiamo di fronte, vuoi perché siamo troppo giovani, vuoi perché non conosciamo bene alcune delle tematiche trattate, oppure semplicemente perché non siamo nella predisposizione mentale per entrare in empatia con la circostanza o il suo contesto.
Questo non vuol dire che l’opera non ci piaccia, anzi, magari diventa lo stesso una delle nostre preferite (come mi è capitato più volte), ma senza accorgercene ci stiamo perdendo un pezzo.
Quando penso a questi casi mi viene in mente come esempio la storia che più di tutte mi ha spinto a voler diventare un narratore: La saga di Metal Gear Solid.
Per chi non lo sapesse, si tratta di uno videogioco del celebre Game designer Hideo Kojima, un genio del suo settore e un narratore di livello tale da meritarsi i complimenti e la stima di gente del calibro di Guillermo Del Toro, Sandrone Dazieri, Norman Reedus e tanti altri di Hollywood e della letteratura; un uomo che si è guadagnato grazie alla sua creatività il rispetto di autori di ogni settore. Ma senza perderci troppo in divagazioni istintive, vi spiego perché questo gioco rappresenta l’esempio perfetto riguardo il concetto che vi ho esposto.
Metal gear è una storia di spionaggio con elementi fantascientifici, basata su un continuo susseguirsi di colpi di scena, personaggi indimenticabili e una profondità narrativa che potrebbe seppellire tre quarti dei film di genere presenti a Hollywood (e so già che chi conosce questa saga mi starà odiando per questa descrizione tanto striminzita, ma datemi fiducia). O almeno questo è quello che vidi io la prima volta che mi capitò di vivere questa storia, e bastò a farmene innamorare in eterno, aspettando ogni nuovo capitolo come la venuta del salvatore.
Poi accadde qualcosa: lo ripresi in mano da adolescente, più sulla via dell’essere adulto che ragazzo.
Fu come essere colpiti da un fulmine a ciel sereno. La storia che tanto mi aveva conquistato era di gran lunga più imponente di quanto non avessi notato in precedenza. Tutta la vicenda si svolgeva in un contesto fantapolitico verosimile e stratificato, i personaggi erano caratterizzati in base alle loro origini e a vicende storiche realmente accadute, ogni riferimento culturale era basato su avvenimenti reali e spesso poco conosciuti, e oltre a questo, tutta l’opera racchiudeva una denuncia al disarmo nucleare e alle conseguenze del mercato bellico.
Quella che ad un bambino era parsa come una bella storia di spionaggio, allo stesso da adulto si rivelò un’opera culturale e narrativa immensa, con un’attenzione ai dettagli storici incredibile, una morale sincera e non scontata, e un messaggio di fondo che spingeva alla riflessione su dove ci stiamo muovendo come razza e quali danni siamo in grado di causare per colpa della nostra cecità.
Tutti quegli elementi erano sempre lì, li avevo visti e ascoltati, e probabilmente ero anche andate a cercarmi alcune delle parole o dei riferimenti che non conoscevo, ma non avevo la maturità, l’istruzione e nemmeno l’interesse per poterli comprendere nella loro interezza; in fondo cosa ne può capire un bambino di undici/dodici anni di stoccaggio nucleare, eredità genetica, accordi START e via dicendo?
Questo è l’esempio di cosa intendo quando dico che una seconda visione può mostrarvi un’opera totalmente nuova rispetto a quella che conoscete. Riprendere in mano una storia significa anche darsi il beneficio del dubbio di essere cresciuti come persone, o magari di essere semplicemente nel mood più adatto per goderne appieno.
In fondo, se è vero che ci sono troppe opere da scoprire e troppo poco tempo per farlo, è anche vero che, per poter comprendere appieno le storie che vivremo in futuro, dobbiamo allenare i nostri occhi e la nostra mente a scovare le sfumature più nascoste e profonde in quelle che ci hanno formato in passato.
Anche per questa settimana è tutto, Viandanti. Spero che questa mia riflessione abbia colto il vostro interesse, e magari anche risvegliato la voglia di ricercare qualche storia nascosta nella vostra memoria.
Non esitate a lasciarmi una vostra opinione nei commenti qua sotto, e se vi va ditemi quali sono le opere che tornate a riprendere in mano più spesso.
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Grazie per l’attenzione, e alla prossima Storia!