Salve Viandanti, e bentornati nella mia locanda.
Oggi vi accolgo con una nuova analisi narrativa, dedicata questa volta al film di Steven Spielberg “Ready Player One”. Quest’opera mi ha sorpreso e conquistato in maniera tale da imporsi con prepotenza nella mia mente, obbligandomi a tralasciare l’articolo che avevo già iniziato a scrivere questa settimana, optando invece per un’analisi che potesse compensare la mia voglia di dirvi la mia su quest’opera.
Come già avvenuto con l’analisi narrativa della Forma dell’acqua, anche in questo caso non si tratterà di una recensione del film, bensì di un approfondimento delle tematiche trattate al suo interno, dei suoi simbolismi e delle sensazioni che mi ha trasmesso. Non tratterò il suo lato tecnico, ma solo quello prettamente narrativo, e cioè quello che mi sta più a cuore.
Per questi motivi ci potrebbero esserci, e probabilmente ci saranno, degli spoiler. Se non avete ancora visto questo film, quindi, vi consiglio di non proseguire.
A tutti gli altri, buona lettura, Viandanti!
1 Inno alla cultura nerd
Quando sono entrato in sala per vedere Ready Player One, quello che mi aspettavo di trovare era un film costruito appositamente per attirare al cinema la moltitudine di ragazzi che, come me, sono cresciuti a pane, videogame, film e libri durante gli anni 90. UN semplice prodotto d’intrattenimento dunque. Nulla di male in questo, anzi, già con Pixel avevo trovato un film con questi intenti, non particolarmente memorabile, ma sicuramente godibile; diciamo però che l’aspettativa non era particolarmente alta riguardo le emozioni che questo avrebbe potuto suscitarmi. Ero pronto a trovarmi davanti un filmetto senza pretese, con qualche Easter Egg qua e là giusto per far uscire lo spettatore dalla sala relativamente soddisfatto, ma privo di quel rispetto che i videogiochi non riescono proprio a guadagnarsi nel mondo del cinema. Beh, mi sbagliavo.
L’errore che ho commesso è stato quello di dimenticarmi che alla cinepresa non c’era un regista chiamato appositamente per creare l’ennesimo film tratto da un’opera videoludica, poco ispirato e quasi mai degno di essere ricordato; bensì Sir Steven Spielberg, un uomo che sta al cinema come Stephen King sta alla letteratura o come Michael Jordan sta al basket.
Spielberg è riuscito a creare un vero e proprio inno alla cultura Nerd degli ultimi quarant’anni, mostrandogli il rispetto che merita e la qualità necessaria per metterla in scena. Non si è limitato a una trasposizione puramente d’intrattenimento del romanzo di Ernest Cline, ma ha invece costruito una vera e propria opera artistica, in grado di racchiudere al suo interno tanto, tantissimo materiale di qualità.
Tutto in questo film è stato scelto mostrando rispetto nei confronti di chi quest’epoca dell’intrattenimento la conosce bene, vuoi perché ci sia cresciuto, vuoi perché la sta vivendo tuttora.
Come spesso fatto da Spielberg, viene mostrata una sensibilità unica nei confronti di tutto ciò che rappresenta i ragazzi più giovani e il loro mondo, ponendo particolare attenzione a come questi ultimi siano in grado di entrare ancora in contatto con la propria fantasia, al contrario degli adulti; e per far ciò, questa volta ha scelto di utilizzare proprio il loro immaginario, dandogli forma e potenza con una quantità di dettagli che non può essere improvvisata; sintomo di quanto reale impegno ci sia stato dietro la sua stesura.
Per chi come me ha vissuto la cultura Nerd fin da tenera età, vivendola in ogni sua variante, questo film è una macchina del tempo in grado di far viaggiare a ritroso non nei ricordi di vita vissuta, bensì di quelli della nostra fantasia.
Ma per rendervi meglio l’idea, vi darò un esempio pratico.
Io ho la fortuna di ricordare bene il primo libro che ho letto da bambino: Il gigante di ferro. Non so se anche per voi sia così, ma i flashback dell’intera nottata passata a leggere il mio primo romanzo, e la gioia nello scoprire che esisteva pure un film dedicato, sono sensazioni che riesco a rimembrare tutt’oggi, a più di vent’anni di distanza.
E ora provate a mettervi nei miei panni, seduto in una sala cinematografica nel 2018, più adulto che ragazzo, a rincontrare quel mio vecchio amico di ferro che non vedo da più di vent’anni e che ora cammina più forte e imponente che mai, circondato da altre decine di personaggi che popolano il mio immaginario da tutta la vita. Provate a sentire la pelle d’oca che ho provato vedendo le luci dei suoi occhi accendersi, l’emozione nel poter rivivere una nuova avventura con lui, entrambi diversi da allora, eppure uguali nel contenuto.
Ecco, questo è l’esempio della potenza emotiva di Ready player one.
2 La fantasia come mezzo per fuggire alla realtà
La storia di Ready Player One si basa su una premessa semplice e già vista, ma attuale come poche: l’utilizzo della tecnologia per fuggire dalla realtà.
Il mondo in cui Wade, il protagonista, vive, è governato dalla povertà e dalla disillusione. I suoi abitanti sono persone sconfitte, prive di qualsiasi scopo o aspettativa, nonché incapaci di sognare un modo per crearsi un futuro migliore. In un contesto come questo Oasis rappresenta l’unica salvezza dalla follia, un luogo in cui viene concesso il permesso d’immaginare, nonché di sognare e mettersi in gioco.
Ci viene mostrato come la vita reale sia così mediocre da far preferire di viverne una fittizia. Coloro che nella realtà sono incatenati dal contesto sociale in cui vivono, impossibilitati al poter ottenere un riscatto personale, dentro Oasis possono diventare chi preferiscono, senza dover tenere conto del loro conto in banca o della loro condizione familiare. Tutto quello che puoi ottenere diventa proporzionale al tuo impegno e alla tua bravura, e nulla può negartelo.
Questa presentazione ci fa subito capire che i personaggi del film, Wade compreso, vivono una costante fuga dalla realtà; abusando di Oasis per emergere come individui di una massa sempre più informe, creandosi una vita alternativa che in realtà ha ben poco valore dal momento in cui ci si toglie il casco per tornare a fare i conti con la fame e la mancanza di affetto umano.
Curioso il modo in cui, nonostante ci venga mostrato come le persone non tentino nemmeno lontanamente di migliorare la propria situazione sociale, vengano impiegati impegno e inventiva per rendere sempre più realistiche le loro vite virtuali, costruendosi postazioni da gioco con pezzi di vecchi furgoni, oppure procurandosi tute in grado di aumentare l’immedesimazione con il proprio alter ego, guadagnando persino la sensazione di dolore. Ci vengono mostrate addirittura persone che s’indebitano pur di migliorare la propria esperienza di gioco, sacrificando anche il poco che hanno nella vita di tutti i giorni. Insomma, sono pronti a fare di tutto pur di non essere sé stessi, tranne combattere nella realtà.
Eppure, nonostante questa fuga dalla realtà sia palesemente negativa, una volta dentro Oasis assistiamo all’inno della creatività. Persone comuni e disilluse che danno libero sfogo alla propria fantasia creando, imitando, elogiando e anche rischiando in nome della voglia di fare. Tutte azioni che nella vita reale hanno troppa paura di fare, ma che qui compiono lasciandosi guidare dall’istinto.
Eppure ci viene più volte mostrato che prendersi tali rischi non è fatto alla leggera; alcuni addirittura tentano il suicidio dopo aver perso tutto in Oasis. E allora perché, se l’importanza data al proprio alter ego è pari se non superiore a quella del proprio io reale, le persone sono più predisposte al mettersi in gioco al suo interno?
La risposta è semplice: quando entrano in Oasis non si lasciano alle spalle solo il nome e l’aspetto, ma anche tutti i dubbi e le disillusioni. Il sentirsi inadatti o incapaci, la paura di non potercela fare, la convinzione che nulla cambierà mai. Oasis rappresenta il mondo in cui ognuno può esprimere il proprio potenziale senza il limite dell’etichetta che ha nel mondo reale; è una dimostrazione di come la creatività possa rendere libero ogni individuo che ha il coraggio di mettersi in gioco senza preoccuparsi di rispettare un ruolo a lui assegnatogli.
Il problema che ci viene mostrato nel film non è dunque il voler fuggire dalla realtà, bensì il dimenticarsi che la si potrebbe cambiare, proprio come viene fatto all’interno del videogioco.
La dimostrazione di questo concetto avviene nella presa di coscienza di Wade, quando rifiuta l’offerta di Nolan Sorrento, e nel suo discorso di chiamata alle armi nell’ultima battaglia. La popolazione, che non si ribella nel mondo reale nemmeno quando schiavizzata, se chiamata a combattere dentro Oasis risponde a gran voce, dimostrando l’enorme differenza tra realtà e finzione.
Oasis non viene rappresentata quindi come una prigione, simile a Matrix, è invece lo strumento con cui riguadagnarsi la libertà di agire, a patto di decidere consapevolmente di farlo.
3 Le due facce della creatività
Come detto nel punto precedente, Ready player one non è solo un tributo alla cultura Nerd, ma anche alla creatività in ogni sua forma.
Mostrando un rispetto inaspettato quanto gradito nei confronti del media videoludico, Steven Spielberg lo mette sullo stesso piano dei media a lui più cari, omaggiandolo con un confronto non competitivo con Shining, uno dei film più simbolici di Kubrick, nonché strumento con cui elogia comunque il suo settore di appartenenza. Ho già parlato dell’importanza che secondo me hanno i vari media narrativi in un mio precedente articolo, e mi fa sicuramente piacere vedere come anche un regista d’importanza così elevata come Steven Spielberg mostri un pensiero tanto aperto alle altre forme d’intrattenimento, creando un’opera che le racchiude tutte al suo interno.
Ma la creatività non vive solo in chi ne usufruisce, anzi, è legata a doppio filo alla personalità del suo creatore stesso.
Nel film ci vengono mostrati i due lati estremi della creatività dell’epoca moderna, mettendo a confronto la visione idealistica di un visionario folle come Halliday, e quella più strettamente efficiente e commerciale di Sorrento, rispettivamente creatore e aspirante plasmatore di Oasis.
Halliday è un creativo estremamente legato alla sua opera, così immerso nella sua visione da dimenticarsi come si vive al di fuori. Il suo processo creativo ci viene mostrato in maniera romantica e idealistica, sospinto dall’esigenza di avere qualcosa che la sua mente brama ma di cui il mondo reale non dispone ancora. È un personaggio affascinante e strambo, un simil Steve Jobs con un carisma in grado di trasporlo nella leggenda di Oasis, ma anche con l’evidente bisogno tipico di ogni artista: essere compreso.
Queste sue caratteristiche sono fondamentali per rendere possibile la creazione di Oasis, ma sono anche i motivi che porteranno alla rottura con Morrow, suo unico vero amico, in grado di comprendere il suo pensiero ma non di condividerlo. Halliday non riesce infatti a rendersi conto che ad un certo punto la sua creazione non è più sua, cadendo nell’errore che spesso compiono molti altri creativi, e cioè quello di dimenticarsi che prima o poi ogni creatura deve camminare sulle sue gambe e iniziare a vivere di vita propria.
Questa sua necessità di essere compreso lo porta a isolarsi sempre di più, creando la caccia all’Easter Egg, sfida che potrà essere vinta solo da qualcuno in grado di comprenderlo nel profondo, ma anche di andare oltre il suo più grande limite: apprezzare la realtà.
La realtà è bella. Perché la realtà è reale.
Halliday
Halliday è l’esempio di artista che non sa abbandonare il suo gioco nemmeno dopo la morte, e per questo ci trasmette al suo interno la propria coscienza, in attesa che qualcuno migliore di lui arrivi a prendersi cura di Oasis.
In netto contrasto abbiamo poi Nolan Sorrento, antagonista del film, nonché rappresentazione dell’estremo opposto della creatività romantica di Halliday.
Sorrento è un creativo incapace di entrare in sintonia con le sue idee. Lo vediamo più volte parlare con Halliday per proporgli qualcosa, ma senza riuscire a comunicarci, perché parlano entrambi due lingue diverse. Lui ha in mente di creare un prodotto, slegato dalla ricerca di esprimersi o dalla volontà di trasmettere qualcosa tipica della sua controparte.
Si può dire che il suo personaggio rappresenti alcuni grandi marchi di oggi, specialmente nel mondo videoludico o cinematografico, che creano su misura prodotti per essere venduti, mettendo in secondo piano l’inventiva e la creazione spontanea. Si tratta pur sempre di creatività, ma in una forma più impersonale ed efficiente, detta al raggiungimento di uno scopo ben lontano da quello del puro creazionismo.
La differenza sostanziale tra Sorrento e Halliday prende poi forma nei loro avatar: Il primo si trasforma nell’uomo “perfetto”, vestito come ci si aspetta da un presidente, con il ciuffo alla Superman e una prestanza che rappresenta la forza fisica pura e rude; il secondo invece incarna un nano stregone, misterioso e con una voce profetica, che si presenta sotto forma quasi di spirito onirico e impalpabile, una figura che riflette saggezza e consapevolezza. Ancora una volta ci si trova davanti allo scontro tra il costruito a tavolino e la creazione di pura fantasia; tra l’eroe perfetto e familiare e lo stregone che custodisce i segreti di mille realtà.
4 Easter egg
Mettiamo in chiaro una cosa: io adoro gli Easter Egg!
Che si tratti di un film, un videogioco o un libro, la mia mente brama dalla voglia di scoprire queste citazioni nascoste, allusioni o tributi; e Ready player one né è veramente pieno fino all’inverosimile.
Nella stessa scena si può passare dal vedere personaggi DC Comics, al Capitano Sherpard di Mass Effect, ai quasi sconosciuti Street Sharks. E questo senza citare il combattimento tra Gundam e Mechagodzilla.
Una quantità di Easter egg che va ben oltre le aspettative, ed è innegabile che una cosa del genere non sarebbe mai potuta essere messa in scena se non da Steven Spielberg., non solo perché molte delle opere rappresentate sono sue, ma specialmente perché difficilmente qualcun’altro avrebbe potuto ottenere accesso a una mole di diritti tanto ampia.
C’è né uno in particolare su cui vorrei però porre particolare attenzione: Il primo Easter Egg messo in un videogioco, quello di Adventure, del game designer Warren Robinett.
Come spiegato da Wade nel film, Warren era talmente orgoglioso della sua creazione da volerlo urlare al mondo. Non si trattava solo di un vanto, ma di un ringraziamento a tutte quelle persone che avrebbero giocato alla sua opera dandogli un senso e una sua personalità. Si trattava di un segreto che bisognava scovare con impegno e inventiva, spolpando il mondo che il suo creatore aveva creato appositamente per farlo scoprire ad altri. Chi fosse giunto a quella scritta segreta non avrebbe trovato solo il nome di un game designer, ma anche un legame con lui, un collegamento che andava oltre il semplice prodotto comprato in un supermercato. Si tratta della più pura forma di condivisione di emozioni che esista.
Da aspirante narratore e creatore di mondi, non posso rimanere impassibile davanti a un tributo alla fantasia tanto evidente e forte.
Ready player one è anche questo: un ringraziamento a tutti quei creatori che hanno riempito il nostro immaginario negli ultimi quarant’anni.
Grazie della lettura e del tempo speso sul mio blog, Viandanti. Spero che questa mia analisi vi sia piaciuta e vi abbia dato nuovi spunti con cui valutare il film. Come al solito ci sarebbe stato tanto altro da dire, ma non volendo cadere nell’eccessiva lunghezza, o peggio ancora prolissità, devo trattenermi e concentrarmi sui punti a cui più tengo.
Se avete altre considerazioni su questo film o altri pareri, non esitate a scriverli qui sotto nei commenti. E, se il contenuto di questa settimana vi è piaciuto, potete condividere quest’articolo con gli appositi tasti qui sotto, aiutandomi così a far crescere sempre di più la Locanda Dei Mille Mondi.
Grazie ancora, e alla prossima avventura!
Se sei un lettore ti consiglierei il libro.
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Avevo già deciso di farlo, probabilmente a breve farò l’acquisto. Il problema purtroppo è che, nonostante sia un lettore accanito, la mia lista di libri da leggere è già lunga e costantemente in aumento. Ma lo leggerò sicuramente, la curiosità è tanta.
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Anche io ti consiglio il libro
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L’ho visto ieri sera, gran film davvero, e come dici tu non è (solo) un prodotto commerciale, ma un tributo sincero alla “cultura nerd” e, soprattutto, alla creatività che è alle sue origini. Proprio come nel messaggio stesso del film! 🙂
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Devo ammettere che metà degli Easter Egg mi sono sfuggiti, ma quell’altra metà che ho visto mi ha esaltato parecchio.
L’ho sinceramente rivalutato come film, e la tua analisi sviscera perfettamente il film.
🙂
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