Fare un buon sequel, si sa, non è per niente un’impresa facile. Anzi, sono abbastanza sicuro che se vi chiedessi di elencare almeno dieci seguiti che vi hanno deluso non fareste molta fatica a snocciolarmeli senza far fatica nel ricordarli.
A volte la storia che viene ripresa in mano non ha più nulla da dire, altre semplicemente gli autori non dimostrano abbastanza coraggio da prendersi dei rischi e rinnovare, ma ancora più spesso la poetica e le tematiche alla base dell’opera capostipite non vengono rispettate, dando ai fan una sensazione di tradimento nei confronti delle emozioni provate precedentemente. Insomma, che si tratti di pigrizia, paura o incomprensione degli autori, raccontare un buon sequel è sempre un’impresa titanica, paragonabile solo a quella di scrivere un remake o un reboot.
Nel tempo i numerosi fallimenti in tal senso hanno portato alla convinzione diffusa che i sequel siano sempre peggiori delle opere originali, e per quanto io non sia propriamente d’accordo con questo assolutismo, è innegabile che gli esempi concreti a sostegno di questa tesi siano davvero troppi (qualcuno ha detto The Mask 2?).
Per fortuna però, in mezzo al marasma di sequel scritti con pigrizia o eccessivo timore, ogni tanto ne saltano fuori alcuni che riescono invece a dimostrare tutto il contrario, eguagliando e a volte addirittura superando l’opera capostipite. Alcuni esempi di queste opere sono Terminator 2, The last of us 2 o, come avrete già immaginato, proprio Cobra Kai.
Lo so, qualcuno potrebbe storcere il naso nel vedere questa serie tv messa al fianco di due colossi del cinema e del mondo videoludico, ma credetemi se vi dico che come qualità di scrittura, ma ancor di più come processo creativo, Cobra Kai riesce a essere uno dei sequel meglio costruiti di sempre.
La storia di Johnny Lawrence è stata una delle sorprese più gradite di questo 2020, non solo perché si è presentata come una storia ben scritta e approfondita, ma specialmente perché nessuno ci avrebbe scommesso nulla!
Quando venne annunciato il seguito del primo film di Karate kid, l’odore di mera operazione nostalgia si propagò nell’aria come la nebbia d’inverno, facendo alzare non pochi sopraccigli tra i fan di vecchia data. Se poi ci si soffermava a riflettere sul materiale originale, andando oltre il legame affettivo, ecco che le aspettative crollavano ulteriormente…
Karate Kid è un film leggendario, che ha fatto la storia di un’intera generazione e dato vita a tutto un genere cinematografico. Anche per un fan di vecchia data come me però, è evidente che si tratta di un’opera che narrativamente sente tutto il peso dei suoi trentacinque anni. La storia di Daniel La Russo e maestro Miyagi fanno capo a una struttura narrativa che oggi è evidentemente superata. L’idea del giovane ragazzo bullizzato che, grazie agli insegnamenti di un vecchio e saggio maestro, riesce a crescere e trovare il suo riscatto, è uno schema che oggi è stato abusato e spolpato fino all’osso. La semplicistica visione di buoni o cattivi, così netti e riconoscibili nel primo film, oggi non avrebbe lo stesso mordente, anzi risulterebbe fin troppo scontato.
Per cui diciamolo, all’inizio Cobra Kai nasceva con il grosso rischio di rivelarsi una banale manovra di marketing intenzionata a cavalcare l’ondata di nostalgia che ha caratterizzato il mondo della narrativa negli ultimi anni, non sempre con risultati ammirabili; o ancor peggio come un prodotto estremamente trash nel suo cercare di replicare una struttura ormai sorpassata, e che oggi non avrebbe avuto nemmeno un briciolo dell’anima di Karate Kid. Per fortuna però non è andata così.
Il team di sceneggiatori di Cobra Kai, capitanati da Jon Hurwitz e Hayden Schlossberg, sono riusciti a confezionare un sequel incredibile, che riesce soddisfare sia i fan di vecchia data, sia chi si approccia per la prima volta al suo mondo. La costruzione narrativa non è solo ottima, al netto di qualche difetto evidente, ma è soprattutto un’evoluzione naturale del materiale originale.
La serie dimostra tutta la passione e l’amore degli sceneggiatori per Karate kid, non solo riprendendone i personaggi, ma anche evolvendoli, ripartendo da dettagli caratteriali che nel primo film potevano passare inosservati, ma che allo stesso tempo ne disegnavano l’anima portante. Riguardando il film dell’ottantacinque (cosa che ho fatto subito dopo aver finito la seconda stagione di Cobra Kai) si ha come l’impressione che sia tutto estremamente naturale nella crescita dei personaggi. Nessuna forzatura, nessun contrasto o incongruenza, anzi, alcune frasi o gesti acquisiscono ulteriore importanza nell’ottica del futuro che ora sappiamo che li attende, e tutto questo dimostra una dedizione incredibile nel lavoro che è stato svolto.
La vittoria più grande della serie però non è dovuta solo da questa fedeltà all’opera originale, ma anche dal modo in cui riesce a esplorarla in profondità. Se le tematiche e la poetica alle fondamenta rimangono fedeli a quelle di Karate Kid infatti, la loro profondità fa cento passi avanti. La storia evolve, si modernizza adattando il suo linguaggio ai tempi che corrono, stratificando eventi, personaggi e dinamiche, mescolando parecchio grigio in una storia che al tempo del primo film era fatta solo di banchi e neri.
La banalità dei buoni impeccabili e i cattivi tali perché sì, figlia dei suoi tempi negli anni ottanta, viene abbandonata per mettere in scena una serie di persone estremamente manchevoli nel loro cercare di essere migliori senza riuscirci appieno. Sia Johnny Lawrence che Daniel La Russo, ma anche tutti gli altri comprimari e secondari, sono pieni di difetti, fanno errori e non si comprendono a vicenda. Sono personaggi di gran lunga più interessanti di quanto non fossero prima, e ci conquistano subito perché molto vicini alla nostra imperfezione.
Anche l’effetto nostalgia, ovviamente ricercato e ampiamente voluto, non è mai banale o fine a sé stesso, anzi viene costruito con una minuziosità esemplare, sfruttandolo per mandare avanti eventi della storia, ma allo stesso tempo sottolineando che il tempo è passato e ce ne dobbiamo fare una ragione. Siamo ben lontani dal citazionismo quasi tributario di serie tv come Stranger Things. Qui c’è nostalgia, ma è vista attraverso gli occhi di personaggi che hanno vissuto quel passato, e quindi attraverso la loro nostalgia, di cui la nostra è solo un effetto dell’immedesimazione.
In una parola, Cobra Kai è coraggio. Coraggio di cambiare le carte in tavola, di spostare la telecamera dal lato opposto della barricata, di metterci in conflitto e di osare. Non toglie nulla all’opera di cui è seguito, però ne arricchisce ogni singolo aspetto, perché ha avuto la temerarietà di farlo, atto per nulla scontato come sembrerebbe.
Cobra Kai è riuscito laddove colossi come Star Wars e molti altri hanno fallito, raccontandoci un sequel pieno di amore e rispetto verso l’opera originale e i suoi fan, ma senza perdere il coraggio di ampliare, esplorare, innovare e rischiare. Gli sceneggiatori hanno scommesso sulla nostra capacità di andare oltre la leggenda di Karate kid, una scommessa che neppure noi pensavamo di poter vincere, ma che alla fine siamo contenti abbiano fatto.