La forma dell’acqua – analisi narrativa

la forma dell'acqua

Salve viandanti, e bentornati nella mia locanda.

Oggi mi presento a voi con quello che probabilmente sarà uno dei format più frequenti su questo blog, o quantomeno mi piacerebbe che sia così. Quella che seguirà è infatti un’analisi narrativa del film “La forma dell’acqua”, ultima fatica del visionario regista Guillermo del Toro, nonché vincitore di quattro premi oscar all’ultima cerimonia hollywoodiana.

Badate bene, non si tratterà di una recensione, bensì di una vera e propria analisi dell’opera, dei suoi simbolismi e dei significati più o meno evidenti che è riuscita a trasmettermi e che io ho colto. I pareri sul comparto tecnico saranno minimi, se non inesistenti, mentre mi focalizzerò esclusivamente sulla narrativa e sulle sensazione che mi ha smosso. Per questi motivi potrebbero essere presenti degli spoiler, in quanto mi sarebbe impossibile riuscire a esprimermi liberamente dovendo stare attento a quanto dire o non dire. Per cui, se non avete ancora visto il film, a vostro rischio e pericolo proseguire nella lettura. Per il resto, spero che le mie riflessioni possano darvi nuovi punti di vista, o che le vostre, lasciate nei commenti, ne diano a me.

 

1 – Romanticismo per adulti

Partiamo da un punto fondamentale: “La forma dell’acqua” è una favola per adulti. Un’opera in grado di mescolare sapientemente la romanticheria più smielata alla cruda realtà storica e violenta a cui Guillermo del Toro ci ha già abituati nelle sue opere precedenti.

Si tratta di una storia d’amore, quindi. Non particolarmente originale nell’idea alla base, ma incredibilmente profonda e articolata nel suo modo di essere raccontata. L’idea della ragazza che s’innamora del mostro, infatti, è tutto fuorché nuova, anzi, si potrebbe dire che è l’incipit della più classica delle fiabe. Quel che fa la differenza in questo film, però, è l’umanità con cui ciò accade.

Sia Elisa che l’uomo pesce sono due emarginati in una società di cui non fanno parte, incapaci di farsi comprendere dagli altri, sia verbalmente che spiritualmente. E sarà proprio questa loro intima solitudine ad avvicinarli, facendo nascere l’amore che darà il via a tutta alla storia.

Elisa è una donna delle pulizie, muta e nemmeno particolarmente bella. Non ha nulla che la renda speciale se non i suoi difetti, mancanze che la spingono a un isolamento forzato del resto del mondo, verso il quale si sente perennemente in difetto. È una persona talmente anonima da risultare invisibile persino mentre vaga libera per un laboratorio militare in piena guerra fredda. In fondo, come viene più volte precisato, è solo la donna che pulisce.

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La sua vita è una lenta monotonia dalla quale non saprebbe come uscire, se non fosse che non ha nemmeno lo stimolo per provarci. Per questo motivo all’arrivo dell’uomo pesce è tanto incuriosita, non tanto per il suo essere anormale, quanto più perché si trova davanti a un elemento estraneo al mondo che ha sempre subito.

Il fatto poi che lui non sia in grado né di parlare né di capire cosa gli viene detto, non fa altro che rafforzare l’attrazione che Elisa prova nei suoi confronti. Lei è l’unica che riuscirà a comunicare con lui, proprio perché abituata a parlare con i silenzi invece che con le parole.

Ci troviamo di fronte a due esseri soli, bisognosi di qualcuno che ascolti il rumore assordante del loro silenzio, e che noti le loro somiglianze invece che le differenze.

 

Quando mi guarda, lui non vede quello che mi manca o quanto io sia incompleta. Lui mi vede per quello che sono.

Elisa

 

Il rapporto si evolve nella maniera più infantile e tenera che ci si possa immaginare, ma non per banalità di sceneggiatura, bensì perché, quando si tratta di rapportarsi con altri esseri viventi, sia Elisa che l’Uomo pesce sono poco più che bambini. Attraverso lo schermo, ci ritroviamo ad osservarli mentre inventano una propria lingua, fatta di gesti e sensazioni, ma anche di timidi contatti fisici e lunghi silenzi. E più il film va avanti, più noi impariamo questa lingua insieme a loro.

Guillermo del Toro ci mostra una storia d’amore nel senso più semplice del termine, e per farlo, spesso mette da parte il verosimile e la realtà a favore della favola. Alcuni degli esempi più evidenti sono sicuramente la scena del bagno allagato; ma anche il già citato fatto che Elisa riesca a muoversi come le pare in un ambiente militare, in piena guerra fredda, come se nulla fosse. Queste però non sono sviste nella scrittura della sceneggiatura, ma dettagli che vengono volontariamente ignorati a favore di quella che viene definita, dal narratore stesso a inizio film, “la favola” che ci sta raccontando. Tutto ruota intorno al semplice ma profondo concetto che il loro amore possa andare oltre il reale, al di là del cinismo e della forza distruttiva della società in cui si trovano.

la forma dell'acqua scena finale

Il culmine di questo concetto sta sicuramente nell’incerto lieto fine, in cui Giles (in vece di narratore) ci dice che questa è solo la sua versione della storia, il suo lieto fine, lasciando a noi scelta se farlo nostro o scegliere una visione meno romantica e più cinica.

Come vi ho detto all’inizio, però, quest’opera è sì una favola, ma per adulti.

Anche se il romanticismo è il fulcro della storia, quest’ultimo non ricade mai nel banale o nel tipico adolescenziale a cui siamo, purtroppo, stati abituati negli ultimi anni; al contrario, mostra una maturità che rende onore allo spettatore, non trattandolo come se necessitasse di essere protetto o, ancor peggio, coccolato.

Guillermo del Toro non pretende di decidere cosa sia troppo per il pubblico, e per questo non si fa problemi a mostrare scene di sesso o di violenza, a volte anche piuttosto importanti. Questa cosa viene messa subito in chiaro fin dalle prime scene in apertura, non esitando a mostrare atti di masturbazione o  dita mozzate, e continuando a farlo tra una romanticheria e l’altra per tutto il film.

Il tutto viene però fatto con eleganza, senza l’intenzione di voler scioccare a forza, ma volendo invece dare maggior carica emotiva alla narrazione. Ogni scena di sesso o di violenza, sia fisica che psicologica, ha un suo significato, e serve per dare maggior spessore a personaggi ed eventi.

2 – L’America ai tempi della guerra fredda

Se come me siete amanti dei film di Guillermo del Toro, sapete bene che questo visionario regista mette particolare cura nella costruzione dei contesti storici in cui ambienta le sue opere. Era successo con “il labirinto del fauno” e con “La spina del diavolo”, e “la forma dell’acqua” non fa eccezione.

Non è un caso che la vicenda sia ambientata negli Stati Uniti della guerra fredda, uno dei periodi più tesi della storia americana. Questo contesto è il terreno più fertile per mostrare la storia d’amore tra Elisa e l’uomo pesce, in netto contrasto con tutte le paure che caratterizzavano quegli anni.

Si tratta di un periodo in cui la paura e il sospetto regnano sovrani. Chiunque viene visto come una potenziale spia; le differenze fisiche o di pensiero possono metterti in cattiva luce e, spesso, causare il tuo allontanamento.

Ci vengono mostrate scene di razzismo e di omofobia, circostanze purtroppo fin troppo frequenti durante quegli anni. Il proprietario della tavola calda, per cui Giles si prende una cotta, è una persona educata e affabile finché non si trova di fronte all’omosessualità del suo pretendente. A quel punto il suo atteggiamento cambia, diventa sospettoso, aggressivo, ma facendolo sempre come se fosse una reazione naturale a ciò che si trova davanti. Ennesimo esempio di come il film ruoti intorno a personaggi emarginati dalla società.

In un ambiente governato dalla paura, le uniche persone attive sono quelle al governo o con alti ranghi militari. Tutti gli altri scelgono di chiudere gli occhi e fingere di non vedere ciò che gli accade intorno. Lo fanno le inservienti al laboratorio, che fingono normalità mentre puliscono macchie di sangue da pavimenti e muri; lo fa Zelda, fingendo di non sentire il peso degli insulti razzisti con cui Strickland la svilisce; e lo fa anche Giles, cercando di sopravvivere a testa bassa, accontentando i capricci delle altre persone.

È come se la collettività vivesse in una bolla d’aria, dentro la quale può far finta di non vedere ciò che viene fatto dalle persone in alto, quelle che stanno scegliendo per loro di cosa macchiarsi le mani.

Molto significativo è il quadro disegnato da Giles per una campagna pubblicitaria: Una famiglia perfetta, senza pensieri, riunita intorno a un budino che dev’essere per forza verde (perché più rassicurante). Si tratta della rappresentazione di come la popolazione americana finge di vivere.

La forma dell'acqua la famiglia Strickland.png

Quando però ci viene mostrata l’incarnazione di questa famiglia perfetta, con Strickland che cena insieme alla moglie e ai figli in una scena identica al quadro (con tanto di budino verde), notiamo subito che non è tutto così idilliaco. Ci sono dubbi sul volto dell’uomo, e ombre che ricadono sulla loro finta felicità. Tant’è che, nonostante tutta questa perfezione, quando viene mostrato Strickland a letto con sua moglie, lui le intima di stare zitta, per avere un assaggio di quella naturale imperfezione che ha visto in Elisa e che non riesce a cacciare via dalla sua mente.

In tutto questo, l’inverosimile storia d’amore tra Elisa e l’uomo pesce va contro la paura del diverso, nella direzione contraria al far finta di niente e vivere nel silenzio. Il loro rapporto è tanto puro da risvegliare negli altri personaggi la volontà di tornare a vivere realmente, di sentirsi di nuovo giovani o di dire al proprio marito quel che si pensa realmente di lui. Di sfidare il proprio governo e le proprie convinzioni per qualcosa di unico, e per questo importante. Oppure, come nel caso di Strickland, dà origine a una vera e propria ossessione.

3 – Umani più mostri dei mostri stessi

Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo in cui parlavo del Il fascino del cattivo, e nel quale ho provato ad esporre quanto un antagonista, se ben caratterizzato, possa spesso rivelarsi più imponente dei protagonisti. Beh, Richard Strickland è l’incarnazione di questo concetto.

Parliamo di un personaggio che racchiude tutti i pensieri negativi e le convinzioni distorte del suo contesto sociale. Un militare convinto che le sue siano gesta eroiche, e che lui sia la cura necessaria per debellare i mali del suo paese. Non esita a trattare le persone comuni con arroganza e disprezzo per le loro debolezze. È capace di sparare a un uomo e di torturarlo infilandogli le dita nella ferita, il tutto senza battere ciglio. Potrebbe compiere le azioni più violente e crudeli, ma continuare comunque a ritenersi l’eroe della situazione.

La sua visione del giusto e dello sbagliato è resa distorta dal contesto in cui si trova. Per lui l’uomo pesce è poco più di un animale, e anche se così non fosse, ucciderlo sarebbe un prezzo irrisorio per poter sconfiggere i russi, vero e unico pericolo da debellare a qualsiasi costo.

Richard Strickland è uno di quegli antagonisti che riesce a farsi odiare sempre di più ogni volta che fa o dice qualcosa, l’unico vero mostro del film, figlio degli ideali confusi e distorti della sua società.

Come già fatto in altre sue opere, Guillermo del Toro utilizza un uomo, tanto crudele quanto verosimile, per enfatizzare un concetto alla base di molti dei suoi lavori: Il male non è nascosto nelle mostruose imperfezioni, quanto più nelle errate convinzioni di cui noi uomini ci circondiamo.

La forma dell'acqua Strickland.png

Ma Strickland non è solo carnefice, ma anche vittima del sistema che lo ha creato. Per quanto si continui a ripetere di essere un giocatore sulla scacchiera della guerra fredda, andando verso il finale si riscopre una semplice pedina, proprio come le persone che tanto disprezza. Lui è probabilmente la prima vittima delle ideologie che difende; un uomo che vive nella paura di non essere all’altezza, e che pertanto sente la continua necessità di urlare i suoi risultati o di sottolineare la sua mascolinità, unici metri con cui è capace di misurare gli altri esseri viventi.

Più ci si avvicina al finale, più le sue ossessioni si mostrano per ciò che sono, fino ad arrivare a dimenticarsi del vero motivo per cui vuole ricatturare l’uomo pesce, giungendo infine ad essere spinto solo dal terrore di un fallimento che provi il suo non essere all’altezza dei suoi stessi standard.

4 – Omaggio al cinema

Un ultimo punto sulla quale vorrei porre l’attenzione, è l’amore per il cinema che Guillermo del Toro ha inserito ne “la forma dell’acqua”.

Non voglio perdermi in un elenco delle varie citazioni a vecchie pellicole o ad altri lavori del regista stesso, quanto più su un dettaglio in particolare che tributa tutto l’affetto rivolto a questo medium.

Per farlo, questa volta mi prenderò la libertà di usare una scrittura meno da articolo di blog, e più emotiva.

C’è un vecchio cinema chiamato Orpheum, appena sotto la casa di Elisa. La sua presenza è puramente estetica, in quanto non avrà influenza sulle vicende della storia, eppure è molto importante. Non si tratta di uno di un multisala come quelli a cui siamo abituati oggi, ma di un ambiente piccolo, vecchio e ammuffito.

Il proprietario è un uomo semplice, che sbaglia a scrivere i titoli sull’insegna e che ha rinunciato da tempo a mire economiche riguardo la sua attività. Eppure, è anche un uomo che ama così tanto la cinematografia da non riuscire a trattenersi dal proiettare “La storia di Ruth e Mardi Gras” in loop, senza sosta. non importa che non ci siano spettatori e che la sala sia vuota e fredda, il film deve continuare.

L’Orpheum è di uno di quei luoghi che stanno svanendo nelle nostre città, inghiottiti da imprese più efficienti nel fare il loro lavoro, ma che mostrano sempre meno passione.

E poi c’è lui, l’uomo pesce, il mostro.  Lui che non conosce il mondo in cui l’hanno portato; che è curioso e vuole uscire a scoprire quali meraviglie si celano fuori dalla vasca da bagno in cui è nascosto.

Alla fine lo fa.

Ore dopo, Elisa lo ritrova all’Orpheum, unico spettatore di un film dimenticato e ignorato da tutti, proprio come si sentono molti degli umani con cui l’uomo pesce è entrato in contatto. L’atmosfera, le luci, lo schermo su cui si susseguono volti umani a grandezze spropositate… Quel che trova in quella vecchia sala ammuffita è una magia in grado d’incantare anche un dio dell’acqua.

Con questa scena Guillermo del Toro urla tutto il suo amore per il cinema e per la narrativa. La forma dell’acqua racchiude in se non solo una storia, ma anche una lettera d’amore al cinema.

La forma dell'acqua.jpg

Ci sarebbe ancora tanto da dire su questo film, una moltitudine di dettagli e simbolismi interessanti e che meriterebbero di essere analizzati. Ma questo è solo un primo esperimento, e il rischio di divenire ridondante o, ancora peggio, prolisso, mi spinge a fermarmi qui e osservare il risultato per capire dove lavorare per evolvermi. Quest’analisi è stata anche un modo per capire il modo in cui voglio affrontare questo tipo di contenuti, per cui, se avete qualche consiglio su come migliorare, non esitate a commentare qui sotto e dirmelo.

Se invece avete apprezzato il mio lavoro, potete condividerlo e aiutarmi a far crescere la locanda dei mille mondi sempre di più.

Sperando di aver risvegliato ispirazioni ed emozioni nei vostri viaggi, per il momento vi ringrazio per l’attenzione viandanti, alla prossima storia.

8 pensieri su “La forma dell’acqua – analisi narrativa

  1. È un’analisi perfetta e molto interessante, complimenti, davvero! Ha mai avuto la sensazione, durante il film, di star osservando anche una sorta di allegoria alla fecondazione? L’acqua, l’uovo, le goccie sul finestrino che muovendosi alludono a spermatozoi? Non so quanto possa essere vera come cosa, ma non negherei che nell’intera storia c’è sicuramente qualche accenno alla tematica..

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    1. Grazie del tuo commento, Daniel, mi fa piacere che la mia analisi ti sia piaciuta. Personalmente non avevo notato questa cosa, anche se l’immagine delle gocce simil spermatozoi era saltata all’occhio anche a me. Ora che me lo fai notare, però, potresti avere ragione, gli elementi al riguardo sono molteplici. Ad una seconda visione proverò a farci più attenzione. Grazie di questa tua osservazione, spunti come questo sono il bello del potersi confrontare con altre persone!

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  2. Sulla questione Strickland mi viene da aggiungere una cosa che mi ha colpito parecchio. Il cattivo passa tutto il tempo a cercare di convincere noi e sé stesso di essere il più forte/capace/carismatico. In realtà si nota poco sotto la superficie come siano costruzioni mentali dalle fondamenta deboli, che si basano sul fatto di essere un americano puro, di aver servito la patria con onore e diligenza e di trarre la propria forza oltre che dalla vessazione, da un piccolo libro che si vede che sta leggendo in una scena, il titolo non lo ricordo, ma era una sorta di guida per sentirsi sicuri di sé.
    In secondo luogo, Strickland non sceglie quasi mai da solo, sono sempre gli altri a dettare il suo comportamento; cosa che si vede bene quando va a comprare una macchina dicendo subito che sua moglie gli ha consigliato un certo modello ma che a lui fa schifo. Il venditore gli mostra proprio quel modello di un colore che a Strickland fa schifo. Alla fine si lascia abbindolare e compra proprio quella macchina lasciandosi chiaramente influenzare.

    E che dire del fatto che Elisa si tocchi proprio nel posto in cui poi avrà una relazione con il mostro?

    Film splendido e ho apprezzato moltissimo anche la tua analisi. Sei bravo e offri spunti interessanti!

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