Media narrativi – I videogiochi e la loro potenza narrativa

The last of us - Joel e Ellie

Quando si parla di media narrativi, molto raramente quello video ludico viene preso in considerazione con i dovuti meriti. A differenza della letteratura e del cinema, che godono ormai da tempo immemore del rispetto della massa, i videogiochi purtroppo non si sono ancora guadagnati il loro posto tra gli strumenti di Storytelling riconosciuti da tutti; vuoi perché la loro nascita è da attribuirsi inizialmente ad uno scopo puramente d’intrattenimento, e solo in seguito anche narrativo; vuoi perché è ancora un medium molto giovane; vuoi perché per troppi anni è stato visto come qualcosa alla stregua di un giocattolo per bambini.

Per fortuna, negli ultimi anni questa concezione limitata del media videoludico sta rapidamente cambiando, complici vari fattori culturali (tra cui la progressiva crescita dei suoi fruitori) e alcune opere narrative che sono riuscite a imporsi nel nostro immaginario riuscendo a raggiungere anche persone non proprio vicine al genere. Ad oggi l’importanza delle storie nel mondo dei videogiochi è sempre più grande, e questa rappresenta un’enorme vittoria e fortuna per chi come me adora la narrativa.

Per quanto molti ancora non l’abbiano capito, il medium videoludico è probabilmente tra i più potenti e unici tra quelli che possono essere usati per raccontare una storia, e sento di poter affermare, con certezza e cognizione di causa, che non ha nulla da invidiare al cinema e alla letteratura.

Sia ben chiaro: per me nessun media narrativo è superiore ad un altro, come vi ho già spiegato in un precedente articolo dedicato. Credo però che il videogioco abbia delle caratteristiche che gli permettono di raccontare storie uniche, e che non potrebbero essere narrate con nessun altro media se non questo, come accade del resto anche con i medium più conosciuti.

L’errore che molti fanno è pensare che il videogioco si limiti a una serie di salti e combattimenti mirati al raggiungimento di un punteggio o al superamento di un livello. C’è addirittura chi paragona la sua narrativa a quella nella pornografia (esempio purtroppo realmente fatto da personalità anche influenti), dicendo che ci si aspetta che ci sia, ma che non serve a nulla se non a creare la scusa per mettere in mano al giocatore un fucile con cui sparare. E in buona parte è vero, il videogioco è tale proprio per la sua componente interattiva, ma pensare che la sua narrativa ne sia una subordinata è una generalizzazione equivalente al reputare la letteratura un mero esercizio di grammatica.

Final-Fantasy-VII Cloud e Sephiroth ombre

Proprio come avviene per il cinema e per la letteratura, il videogioco dà vita sia ad opere puramente d’intrattenimento, dove la sceneggiatura è giusto una “scusa” per creare situazioni sempre più spettacolari, sia opere in cui invece si vuole raccontare una storia vera e propria; e in questi casi a fare la differenza è proprio quella sua componente interattiva che in un primo momento potrebbe sembrare il suo limite narrativo.

Ma per spiegarmi meglio, proviamo ad analizzare i tre fattori che, più di tutti, rendono il videogioco un medium narrativo di incredibile potenza, e che lo differenziano dalla letteratura e dal cinema.

 

IMMEDESIMAZIONE

Poco da farci, può piacere o non piacere, ma nessun’altro medium riesce a creare un senso d’immedesimazione con il protagonista come quello che nasce nel giocare a un videogioco. La possibilità di controllare veramente ogni singolo movimento del proprio alter ego, compiendo tu stesso le azioni e vedendolo reagire a ogni tuo pensiero tramiti la pressione di pochi tasti, crea un legame con i personaggi unico è impossibile da replicare. L’unico altro media che può rivaleggiare sul fronte immedesimazione è la letteratura, ma lo fa in una maniera totalmente diversa, e quindi non paragonabile.

Quando prendi un joystick in mano, tu diventi davvero l’eroe che hai di fronte. Puoi sentirlo, provare la sua potenza e le sue debolezze; vivere l’ambiente che lo circonda interagendo con esso o spostandoti al suo interno. Ogni mutamento nel suo corpo o nelle sue abilità si riflette in un ampliamento delle tue possibilità, facendotelo sentire.

Ma proviamo a fare un esempio pratico e comprensibile anche da chi non ha mai giocato ad un videogioco.

Batman.jpg

Tutti conosciamo Batman, l’eroe mascherato di Gotham che passa le sue nottate a pestare criminali a mani nude e librandosi da un tetto all’altro utilizzando gadget mega-tecnologici. Che siate appassionati di fumetti, cinema, libri o videogiochi, ognuno di voi avrà in mente almeno una sua rivisitazione. Ebbene, qualche anno fa ho potuto giocare a Batman Arkham Asylum, una serie di videogiochi dedicati proprio al cavaliere oscuro. Ebbene, vi assicuro che mai come allora ho potuto davvero ESSERE Batman! Affrontare ogni singolo nemico ti conferiva una sensazione di pura forza fisica e abilità tecnica; avere i suoi mille gadget a disposizione e da poter passare in rassegna era rassicurante, come se fossi pronto ad affrontare ogni situazione; guidare la Batmobile era esaltante, frenetico, epico; e librarsi tra un tetto e l’altro, utilizzando rampini e mantello era liberatorio quanto affascinante. Per tutto il tempo passato davanti a quel gioco, io ero Batman.

Se siete giocatori sapete di cosa sto parlando, in caso contrario, spero che siate propensi a concedervi la possibilità di scoprirlo.

INTERAZIONE

Come ho detto poco fa, l’interazione è il fulcro di ogni videogioco, ed è anche la caratteristica che più di tutte gli permette di emanciparsi dal cinema, suo fratello maggiore, e ottenere una sua personalità come medium narrativo.

A differenza del libro o del film, infatti, il videogioco può contare sulla possibilità di far interagire realmente il suo fruitore con la storia. Legandosi infatti all’immedesimazione sopracitata, il giocatore (nonché viaggiatore narrativo) ha la possibilità unica di poter cambiare il corso della storia, rendendola all’effettivo la sua, unica e differente da quella vissuta da chiunque altro con lo stesso gioco.

L’interazione permette di scegliere non solo come muoversi all’interno dell’ambiente, ma anche come caratterizzare il proprio personaggio, in alcuni casi anche permettendoci di scegliere se farlo diventare un eroe o un antagonista.

Se conoscete i giochi della Telltale avete ben presente quanto questo possa essere emotivamente interessante questa caratteristica, portandovi a vivere situazioni in cui dover prendere decisioni anche difficili, come il dover sacrificare un personaggio piuttosto che un altro; o come dover scegliere se rubare del cibo a chi non ne ha abbastanza, solo per sopravvivere tu stesso.

Qualcosa di simile è stato provato durante gli anni novanta e duemila con i libri games, romanzi in cui al lettore veniva lasciata la possibilità di prendere alcune decisioni. Il risultato però, per quanto interessante e divertente, non raggiungeva nemmeno lontanamente la stessa profondità che può concedere un videogioco.

detroit become humans

È proprio l’interazione il vero potere del medium videoludico, che lo fa ergere come mezzo di narrazione a sé stante e svincolato da quelli ben più maturi e riconosciuti. La possibilità di far interagire il suo fruitore direttamente con la storia crea una serie di possibilità narrative che nessun’altro medium può vantare.

Quante volte leggendo un libro o guardando un film avete trovato un protagonista alle prese con una decisione difficile da prendere e avete trattenuto il fiato in attesa della sua scelta? Ora provate a immaginare se a quel punto della storia a prendere la decisione avreste dovuto essere voi.

Da aspirante narratore, vi posso assicurare che l’interazione con la storia apre un mondo tutto nuovo allo Storytelling, dando la possibilità di raccontare storie che altrimenti non sarebbero mai potute esistere.

LA QUARTA PARETE

Ho pensato a lungo a come affrontare questo punto, sia perché molto complesso (e probabilmente necessiterebbe di un articolo dedicato), sia perché mi sta molto a cuore. Per cui, come ogni qualvolta mi trovo in questa situazione, mi limiterò a raccontarvi un breve aneddoto che sarà più esplicativo di mille spiegazioni prolisse e confusionarie.

È la fine degli anni novanta (o forse i primi del duemila, la memoria è spesso fallace per certi dettagli), e un bambino di poco più di dieci anni sta passando il pomeriggio giocando alla playstation, e in particolare ad un gioco chiamato Metal gear solid (lo stesso che anni accenderà in lui la volontà di diventare un narratore, ma questa è un’altra storia…). Si tratta di un videogioco diverso rispetto a tutti quelli che ha giocato fino a quel giorno, con una storia molto più matura di quanto non sia abituato a trovare, e che lo ha catturato così tanto da tenerlo incollato allo schermo tutto il giorno.

Guidando il suo alter ego, un certo Solid Snake, il bambino si ritrova ad un certo punto ad affrontare un nemico diverso da quelli a cui si è abituato nelle ore di gioco precedenti: è vestito di pelle nera aderente, indossa una maschera antigas e parla con una voce sofferente, al limite tra il fastidioso e il penoso.

Il bambino ne ha sentito parlare, si chiama Psycho Mantis, e dovrebbe avere dei poteri psichici che lo differenziano dagli altri nemici del gioco. Come prova di questa informazione, questo strano personaggio si presenta a Solid Snake lievitando in aria e disarmato.

Il Bambino è eccitato all’idea dello scontro che sta per avvenire.

Psycho Mantis, però, non attacca subito, prima vuole presentarsi al protagonista, in perfetto stile cattivo anni novanta.  In principio cerca di scoraggiare il suo avversario, dicendogli che non può nulla contro i suoi poteri sovrannaturali, e che ogni scontro sarebbe inutile. Il bambino è perplesso, quale cattivo ti deride in questa maniera, vantandosi di quanto sia forte?

“Ah, non mi credi?” chiede Psycho Mantis con quella sua voce fastidiosa, quasi come se avesse percepito la perplessità del Bambino “allora ti darò una dimostrazione”

Fu a quel punto che accadde la prima delle stranezze che avrebbe impresso quel giorno nella testa del Bambino per sempre: Psycho Mantis lesse il suo passato.

Psycho-Mantis

Parlando lentamente, e prendendosi una pausa tra una frase e l’altra, si prende il tempo di leggergli nella mente (o nella memoria della console), e inizia ad elencare tutti i giochi giocati in precedenza dal Bambino. Ma non si limita a questo, descrive anche le sue abitudini videoludiche, la frequenza dei salvataggi e tanti altri dettagli simili.

Il Bambino fissa lo schermo basito e divertito allo stesso tempo. Come fa il videogioco a sapere queste cose?!

“ancora non sei convinto?” chiede Psycho Mantis, ormai evidentemente divertito, “allora ti darò dimostrazione dei miei poteri telecinetici. Appoggia il Joystick su un ripiano stabile”

Il bambino esita un attimo, osserva il joystick titubante, poi osserva ancora lo schermo. Solo allora si rende conto che il suo avversario non sta più parlando con Snake, il suo alter ego, bensì direttamente a lui, fissando in pieno la telecamera. Lo scambio è avvenuto con tale naturalezza che non se n’era nemmeno accorto…

Alla fine il Bambino segue le indicazioni dategli. Ormai è troppo curioso di scoprire i poteri di questo strano personaggio. Appoggia il Joystick per terra e attende.

Psycho Mantis alza le mani verso lo schermo e il joystick appoggiato inizia a vibrare battendo sul pavimento. Il Bambino non riesce a trattenere un grido d’eccitazione. Lo sta muovendo, lo sta muovendo davvero!

La presentazione è finita, Psycho Mantis passa all’attacco e finalmente la vera sfida inizia. Il Bambino riprende il controllo di sé, ma anche il combattimento è tutto particolare: ogni volta che prova ad attaccare il nemico, quest’ultimo schiva i suoi colpi deridendolo e dicendogli che gli ha letto nel pensiero prima ancora che lui agisse. Oltretutto, quando Psycho Mantis urla “Blackout”, il televisore smette di funzionare, e il Bambino si ritrova a doverlo spegnere e riaccendere per farlo ripartire, ignaro che serva a ben poco. Dopo minuti interminabili e tentativi di ogni genere, il Bambino ha un’intuizione: scollega il Joystick dalla sua playstation, e lo ricollega nell’entrata del secondo giocatore. È esaltato ed eccitato come non gli è mai successo. Sta davvero combattendo contro quel nemico, non solo usando il suo alter ego, ma anche nel mondo reale. Quello scontro lo sta mettendo alla prova anche intellettualmente.

L’idea funziona, Psycho Mantis non riesce più a prevedere le sue mosse,e finalmente lui può colpirlo e far scendere la sua barra della vita un colpo per volta. Alla fine lo scontro finisce. Lo strano nemico cade a terra sconfitto, e solo allora si rende conto di aver continuato a leggere la mente del giocatore nel primo slot della playstation, mentre il Bambino è passato al secondo. Prima di avviarsi verso la fine, si complimenta con il suo avversario per l’idea geniale.

Questo scontro rimarrà per sempre nella mente del Bambino, e lo legherà definitivamente al mondo dei videogiochi, e alla ricerca di altre esperienze in grado di oltrepassare il limite della quarta parete che divide un’opera dal suo fruitore.

Il videogioco non è l’unico medium in grado di sfondare questa cortina, ma di sicuro è uno di quelli che può farlo nella maniera più spettacolare.


Ci sarebbe ancora tanto da dire sulla narrativa videoludica, specialmente prendendo come esempi opere grandiose, in grado davvero di entrare negli annali delle storie più belle di sempre, al fianco di romanzi, film e altri.

Mi piacerebbe che questo articolo riuscisse a far nasce in alcuni detrattori almeno la curiosità di provare e scoprire quanto certi videogiochi possano raccontare delle grandi storie. Purtroppo mi rendo conto che il più grande pregio del medium videoludico, e cioè la sua interattività, rappresenta per molti anche il più grande ostacolo da superare. A differenza degli altri medium infatti, il videogioco è meno immediato per chi non è abituato al suo utilizzo, e non può contare sull’accessibilità che hanno invece cinema e letteratura.

Ma per fortuna, nel tempo questo mezzo si sta affermando sempre di più, aumentando la schiera di suoi fruitori.

Spero vivamente che questa mia riflessione e analisi vi sia piaciuta, nonostante non sia esaustiva quanto meriterebbe l’argomento. Fatemi sapere la vostra opinione, e specialmente ditemi quali videogiochi vi hanno conquistato con la loro narrativa, facendovi innamorare dei suoi mondi o dei suoi personaggi.

Buon viaggio, Viandanti, e buone storie.

10 pensieri su “Media narrativi – I videogiochi e la loro potenza narrativa

  1. Per il momento ho letto solo la prima parte e quindi aggiungo questo: purtroppo l’attività videoludica dei giorni d’oggi si basa su giochi come Fortnite o il multiplayer in generale che sta spopolando… insomma e in questo genere di giochi la narrazione si perde, quello che voglio dire quindi è che ormai non si può più considerare positivo (sotto questo aspetto) giocare ai videogiochi.
    So comunque che ti riferisci a giochi con una storia e a chi gioca a quei giochi…
    Non so se sono stato chiaro…

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    1. Ciao, grazie del tuo commento e della riflessione che hai condiviso. Penso di aver capito cosa intendi, ma personalmente credo che questa sensazione sia in realtà creata e alimentata dalla portata mediatica dei titoli che hai citato. È vero che Fortnite, Minecraft e altri sono sicuramente i giochi più in evidenza del settore, ma questo è un fenomeno al pari di quello che esiste nel cinema o nella letteratura. Esistono opere di solo intrattenimento, che solitamente sono la maggior parte, e poi opere incentrate sulla narrativa, che anche se non fanno i numeri delle prime, detengono comunque una fetta molto importante e incisiva del mercato. Basti guardare il mercato dei giochi single player degli ultimi due anni per vedere tantissimi titoli story-driven, di qualità altissima e in quantità molto più alta di quanto non fosse quindici anni fa, pensa solo a titoli come The Witcher, The last of us, Uncharted, To the Moon, The walking dead Telltale, undertale e tanti tanti altri.
      La narrativa nei videogiochi sta prendendo sempre più piede, e con qualità sempre crescente; anche senza raggiungere i numeri dei videogiochi più di massa.

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      1. Grazie a te innanzitutto, non sono molto aggiornato sui videogiochi, non ne ho giocati molti… ho giocato (come giochi narrativi) tutti e tre gli “age of mythology” (non so se conosci,se non conosci te li consiglio vivamente), assassin’s creed, oblivion, skyrim e for honor senza escludere fortnite che per un periodo ha attratto pure me 😀
        Ci sono un infinità di giochi che non conosco, ma ora che ci penso effettvamente le case di produzione più grosse (come ubisoft o behtesda) puntano più sui giochi narrativi.
        Grazie a te ancora per l’attenzione 🤗

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  2. Ciao! Ho scoperto la tua locanda per caso. Ho appena pubblicato un post su Bioshock, parte di un excursus sulla paternità nei videogiochi contro le tesi di chi ne contesta il contenuto emotivo come mera “manipolazione” narrativa. Tra i consigli del reader di WP è apparoa l’immagine di The Last of Us di questo tuo post e, visto che questo gioco sarà parte di questa mia “narrazione”, il clic è stato naturale.
    Condivido la tua analisi in pieno, ho ritrovato considerazioni esattamente identiche alle mie quando voglio semplicemente rivendicare la dignità di questo medium. Non intendo “evangelizzare” nessuno, ma lotto contro il pregiudizio, ancora molto diffuso tra chi non è videogiocatore o conosce i videogiochi solo come GTA, COD; Fortnite, Minecraft e in genere li addita come “violenti”.
    Mi congratulo che hai scritto della Quarta Parete. In effetti, il concetto è complesso e ostico e già è difficile fare comprendere che l’interazione – quando è fatta come DioBit comanda – è un’opportunità in più, differente dalla tradizionale modalità di fruizione di una storia (e sua rielaborazione personale). Perché averne un pregiudizio o percepirla come un disvalore?
    PS: altra coincidenza: la tua è una locanda, ho battezzato la mia una “webettola”.

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    1. Ciao a te! Ti chiedo scusa per la tarda risposta, sono davvero poco efficiente nel notare le notifiche…
      Hai perfettamente ragione, purtroppo il pregiudizio nei confronti del medium videoludico è ancora molto diffuso, in alcuni paesi più che in altri. Per questo motivo trovo fondamentale mostrare la sua qualità e profondità ogni volta che ne ho l’occasione. Per fortuna però, devo dire che negli ultimi anni sta avvenendo sempre di più una presa di coscienza culturale a riguardo.
      La mia speranza (per cui nutro molta fiducia a dire il vero) è che da qui a meno di una generazione, anche in Italia, il videogioco si sia guadagnato il posto che gli spetta come mezzo artistico e d’intrattenimento, tanto quanto il cinema e la letteratura. In fondo, il suo peso nella nostra società è già diventato importante quanto i medium più riconosciuti, sia in ambito culturale che economico, per cui si tratta solo di accorgersene una volta per tutte.
      Tra l’altro ho dato un occhio ad alcuni dei tuoi articoli e li ho trovati molto interessanti, complimenti!
      P.s. Quando si parla di storie, bettole e locande saranno sempre i luoghi prediletti per raccontarle e ascoltarle. Era così secoli fa e continuerà ad esserlo anche adesso, seppur in forma digitale 😉

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      1. Figurati, scuse non necessarie. Ti scriverei stringatamente che “quoto tutto”, ma in verità sono un po’ più scettico, per quanto sia abituato a vedere sempre il bicchiere sempre dalla metà piena. Quest’anno in particolare mi sono dedicato a temi che ruotano intorno ai videogiochi e ho notato che i lettori (anche di lunga data) che a volte hanno espresso la loro estraneità ai videogiochi, sono spariti del tutto! Per carità ognuno ha le sue preferenze, come quando va al cinema e non va mai a vedere film horror. Tuttavia me ne sono stupito poiché non scrivo quasi mai di aspetti tecnici o tecnologici, piuttosto inizio da una meccanica o da una storia per ampliarne i temi e riportarli a un argomento di discussione ed opinione a cui tutti possono accedere. Insomma, scrivo nel titolo “videogioco” e ho notato l’effetto “sfolla-gente” di una carica della Celere su un corteo di manifestanti. 😂
        Ho appena “rintuzzato” educatamente un commento di “videogiochi che incitano alla violenza i bambini” su un altro blog in un post in cui si scrive di “pregiudizi” (non ero O.T., quindi 😜).
        Ho l’impressione che il pregiudizio si sia incrostato e le nuove generazioni siano concentrati su certi generi (MMO) e non abbiano interesse nel potenziale di “arricchimento” transmediale, ma al solo consumo compulsivo. Spero di sbagliarmi. Sono aperto a ricredermi e a bollare queste mie come farneticazioni di una vecchia cariatide dei videogiochi.

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      2. Sinceramente ho più fiducia invece. è sicuramente vero che i numeri di un Fortnite o un Destiny sono più alti rispetto a quelli di un Bioshock (un po’ come nel mondo del cinema succede tra un film d’autore e uno della Marvel), ma al contempo direi che viviamo in un periodo incredibile anche per i giochi Story Driven e più artistici. Basti vedere le vendite di Persona 5 (oltre 10 milioni) o tutta l’attenzione mediatica che riscuote Death Stranding, nonostante ancora si sappia ben poco sulle meccaniche di gioco vere e proprie. Sono segnali importanti di un mercato che si espande, portando quindi inevitabilmente alla nascita di prodotti più di massa, ma che fa anche crescere sempre di più la mole di appassionati del media videoludico come mezzo artistico, espressivo o narrativo.
        Credo che a influire molto sul traffico e sulle visualizzazioni di un articolo siano più i tempi, nonché le abitudini delle nuove generazioni, che tendenzialmente seguono i videogiochi su mezzi più visivi, come youtube e twitch, e molto meno su quelli scritti. Purtroppo un mezzo come il blog, che mette la scrittura e la lettura come base del suo esistere, risente di una generazione che legge sempre meno. Per cui è facile che un blog abbia più riscontri dai meno “giovani”. Io per primo mi rendo conto di come variano i numeri da un articolo all’altro.
        Poi va beh, purtroppo lo zoccolo duro che non vuole vedere ci sarà sempre, e solitamente è anche più rumoroso e accanito, ma tendenzialmente sono positivo nel modo in cui il mercato e la consapevolezza sta crescendo. Immagino che però che potremo scoprire solo nei prossimi anni se questa mia fiducia e ben riposta o meno.

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